tour france II

La storia delle bici del Tour de France – seconda parte

Nella prima parte, abbiamo dato uno sguardo alle biciclette che hanno segnato gli albori del Tour de France; a come i freni, la ruota libera e il cambio siano arrivati gradualmente ad arricchire il design delle nostre amate due ruote. Nel secondo articolo, faremo un salto nel tempo, arrivando agli anni ‘90 e ai primi 2000, periodo che più di tutti ha visto una vera e propria rivoluzione in termini di materiali e fisionomia della bicicletta. Quindi, prepariamoci perché stanno per arrivare le curve, proprio come sull’Alpe D’Huez. 

L’addio all’acciaio, la transizione dell’alluminio e l’avvento del carbonio

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Il quarto Tour vinto da Miguel Indurain nel 1994 sulla sua Pinarello ha segnato l’ultima vittoria della corsa francese su una bici di acciaio. Alla fine degli anni ‘80, con le vittorie di Greg LeMond e Pedro Delgado, abbiamo visto l’arrivo di due materiali che avrebbero segnato gli anni a venire: l’alluminio e il carbonio. Ma fu solo con il quinto e ultimo Tour vinto da Indurain nel 1995 che l’acciaio iniziò a scomparire. In quell’annata, la sua Pinarello presentava un telaio in alluminio, così come tutte le bici vincenti fino al primo Tour di Lance Armstrong. Fra queste biciclette, solo la splendida Bianchi Mega Pro XL Reparto Corse dell’indimenticato Marco è riuscita a interrompere il dominio Pinarello. 

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Nel 1999 l’americano vinse il primo dei suoi sette Tour. Anche se sappiamo bene come andò a finire, la Trek 5200 del texano segnò due passi importanti: fu la prima bici al 100% in carbonio a vincere il Tour e fu la prima vittoria per Shimano, il produttore giapponese di componenti per bici, noto principalmente per i suoi cambi. Da allora, Shimano ha mancato la vittoria in solo 6 occasioni (4 volte contro Campagnolo e 2 contro Sram) e oggi è il brand usato dalla grande maggioranza delle squadre World Tour. Inoltre, la manifattura della Trek fu particolare dato che per la prima volta non venne prodotta seguendo i metodi tradizionali (ovvero tubi saldati o con congiunzioni saldobrasate) ma uscì monoblocco da uno stampo come la stragrande maggioranza delle bici attuali in fibra di carbonio. 

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La maglia gialla ti dà le ali, ma l’aerodinamica ti fa volare

Per le generazioni di oggi, il recupero di Pogačar su Roglic nella cronometro individuale del penultimo giorno del Tour 2020 fu una vera sorpresa; ma quello che riuscì a fare Greg LeMond nella prova contro il tempo sui Campi Elisi nell’ultimo giorno del Tour 1989, con mezzo mondo a guardarlo e tutti i tifosi francesi a sostenere il loro compatriota Laurent Fignon, non fu solo un momento da record per il margine più basso nella classifica generale finale fra il primo e il secondo posto, ma fu anche la prima dimostrazione pratica di quanto sia importante l’aerodinamica. 

Anche se molto si è scritto sul risultato finale di quel Tour, Fignon aveva 50 secondi di vantaggio su LeMond prima dei 24,5 km della cronometro e a fine corsa si trovava 8 secondi dietro l’americano, guardandolo levare le mani al cielo in maglia gialla sul podio finale dei Campi Elisi. LeMond gli rifilò 58 secondi, 2,3 secondi a chilometro, tenendo una velocità media più alta di 2 km/h rispetto a Fignon. È vero che LeMond era più forte a cronometro ma perché Fignon non usò le stesse appendici (o un modello simile) dell’americano, perché non indossò un caschetto speciale e occhiali sportivi da ciclismo invece di presentarsi con la coda di cavallo e quei nostalgici occhiali da vista? Non si può dire che venne colto di sorpresa e non ebbe tempo per cercare alternative e testarle. LeMond aveva già usato le appendici da triathlon e un casco aerodinamico nelle cronometro precedenti di quel Tour. Fignon semplicemente non lo reputò necessario, e quando implementò questi piccoli cambiamenti, due mesi dopo nel Grand Prix des Nations, fu inarrestabile.

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L’aerodinamica applicata al ciclismo è un connubio che resiste tuttora, così come altri cambiamenti radicali nella progettazione delle bici e dell’attrezzatura da cronometro visti negli anni ‘90. Questo fino al 2000, quando la UCI fissò regole particolarmente stringenti per le bici e i suoi accessori. Una decisione che segnò la fine della Pinarello Espada (la bici di Indurain) o della Lotus (di Chris Boardman) che si possono vedere fra le foto della prima parte della storia delle bici del Tour de France.

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Dobbiamo tornare al 2003 e al modello Cervélo Soloist del Team CSC per vedere la prima bici da corsa standard dal concetto aerodinamico nel Tour de France. Il nome della bici era molto chiaro: una bici in alluminio con tubi del telaio appiattiti, progettata per avere le migliori prestazioni aerodinamiche e offrire altri “vantaggi” ai corridori che pedalano in solitaria. Quello che nacque come un design per un contesto molto specifico o per tappe precise, ora è diventato lo standard di tutte le bici delle squadre che partecipano al Tour.

Un cambio di geometria

Finalmente, parliamo di un argomento apparentemente secondario ma che in realtà è fondamentale: la geometria della bici. Il disegno dei due triangoli e della forcella dimostra chiaramente che gli angoli e le misure dei singoli elementi della bici possono influenzare le prestazioni e le reazioni della bici tanto quanto (se non più) dei materiali di cui è composta. Detto questo, i materiali uniti alla tecnologia e alla componentistica disponibile in un certo periodo storico, determinano anche la forma e il design finale della bicicletta. 

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Se confrontiamo la bici del 1903 con quella del 2021, si può notare come la prima avesse un passo di 1,2 m, un angolo del tubo di sterzo più stretto e la forcella più avanzata. Il design era rivolto alla riduzione degli urti, per ottenere una maggiore stabilità e maneggevolezza. La Colnago, invece, con un passo di circa 1 m, un angolo di 73° del tubo sterzo con una forcella ridotta, è stata progettata per essere agile e trasmettere ogni watt di potenza dalle gambe di Pogacar sull’asfalto.

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Il primo grande stravolgimento alla fisionomia delle bici arrivò alla fine degli anni ‘30 (in questa foto, possiamo vedere la Legnano con cui Bartali vinse il Tour del 1938). In quest’epoca, i due triangoli del telaio vennero ridotti, così come il passo. Le strade, i materiali, i componenti e la tecnologia di produzione delle bici stavano migliorando. Il cambio negli angoli e nelle misure divenne ancora più evidente dopo la Guerra. Qua sotto potete vedere la Bianchi con cui Coppi vinse il Tour del 1949.

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I cambiamenti di geometria fra la Bianchi di Coppi e quella di Pantani del 1998 sono minimi, ma un anno dopo la Giant TCR (Total Compact Road) fece il suo debutto fra le file della ONCE. 

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Una bici progettata da uno dei designer più importanti della storia, Mike Burrows, ispirata al mondo della MTB per sviluppare un’idea innovativa rispetto al mercato delle bici da corsa dell’epoca. Molto più compatta, con un tubo orizzontale pendente a ridurre le dimensioni del triangolo principale. Anche il triangolo posteriore è più piccolo, con un fodero orizzontale molto corto e il fodero verticale che si raccorda al tubo del sellino appena sotto il tubo orizzontale. Tutto questo per ridurre il peso, aumentare la rigidità, migliorare la maneggevolezza e garantire un maggiore equilibrio delle prestazioni anche per i corridori di bassa statura. 

Il design del 1997 fu così innovativo che la Giant presenta ancora oggi a catalogo il modello TCR. Ovviamente è stato rivisto dal punto di vista estetico e tecnologico per rimanere al passo con le ultime innovazioni ma molte delle bici che vediamo oggi al Tour de France sono chiaramente ispirate al design di Burrows. Quale sarà la prossima grande innovazione? Forse la stiamo già vivendo: l’introduzione dei freni a disco; va però detto che il regolamento molto stringente della UCI non lascia molto spazio all’innovazione. In altre parole, il corpo di governo del ciclismo mondiale si sta comportando come Henri Desgrange in quelle prime storiche edizioni del Tour de France.

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